Voglio raccontare la storia di Piero per fare capire in che cosa consiste il mio lavoro di educatrice.
Quando l’ho conosciuto, Piero abitava in una comunità di media residenza (di giorno gli utenti sono seguiti dagli operatori, di notte stanno soli nei propri appartamenti), era in pensione.
Da giovane era cronometratore sulle catene di montaggio, era considerato da tutti come un uomo affidabile e cordiale, era anche appassionato di pingpong.
A quarant’anni ha avuto il suo primo episodio psicotico, è caduto in una profonda depressione dopo un lutto in famiglia. Suo fratello che faceva il pranoterapeuta è morto e lui si è convinto che tutto il male che suo fratello aveva guarito gli si era ritorto contro, e parte di quel male aveva raggiunto anche lui.
Piero è rimasto chiuso in casa con il tavolo apparecchiato pronto per la cena, fermo, per quasi una settimana, il cibo è marcito e sua madre, preoccupata perché non riusciva a raggiungerlo, lo ha trovato lì.
Ai tempi di Piero c’era ancora l’elettroshock e lui lo ha subito molte volte… un giorno gli ho chiesto se si era mai innamorato e lui mi ha risposto che si era innamorato molte volte, ma l’elettroshock cancellava la sua memoria e ogni volta gli faceva dimenticare tutto, anche il suo amore. Alla fine ha deciso di non innamorarsi più perché era troppo triste per le ragazze di cui non si ricordava.
Spesso, quando accompagno Piero dai medici e spiego che sono la sua educatrice, capita che questi inizino a rivolgersi a me facendo strani segni per chiedermi, senza farsi vedere, se Piero sia pazzo… Ma lui si accorge di tutto. Un giorno gli ho chiesto di trovare insieme un escamotage per uscire da questo imbarazzo.
Adesso lui a volte dice “ho una diagnosi di …, ma non sono stupido”, il più delle volte però facciamo finta di niente perché Piero dice: “cosa vuoi spiegare a uno che ha studiato tanto e non ha capito nulla!”